IL CAMOSCIO, re delle vette alpine e dei silenzi.

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Le nostre belle vette orobiche ospitano, da moltissimi anni, uno dei più affascinanti ungulati della fauna nobile europea, il camoscio delle Alpi, la Rupicapra rupicapra. In Italia è presente anche una seconda sottospecie, la Rupicapra ornata, altrimenti nota come il Camoscio d'Abruzzo; le sue dimensioni sono leggermente inferiori alla specie alpina, ma possiede un trofeo molto più sviluppato rispetto a tutte le altre specie conosciute. Altre sottospecie sono presenti in Europa; esse si sono leggermente modificate, rispetto al ceppo originario, per situazioni di isolamento, negli anni, in ambienti con caratteristiche diverse sia sotto il profilo alimentare che climatico. La specie alpina raggiunge un peso, nei soggetti adulti, che va dai 30 ai 45 Kg., ed è alta, al garrese, 70/80 cm.; la sua lunghezza, dal muso all'attaccatura della coda (che misura circa 4/5 centimetri), è di 70/80 cm..

Come riconoscerli

Per un osservatore occasionale è piuttosto difficile, a prima vista, distinguere i maschi dalle femmine. Determinarne il sesso dalla semplice osservazione del trofeo, pur considerando che in genere le corna delle femmine sono più sottili e più aperte di quelle dei loro partners, può trarre molto spesso in inganno. Ci potrà aiutare, sempre che i soggetti osservati siano più di uno e si possano fare comparazioni, la linea più snella delle femmine, il loro collo più sottile che, per l'assenza della laringe, sembra anche più lungo di quello dei maschi. Sarà comunque la struttura dell'animale nel suo insieme a fornirci un complesso di informazioni che, assieme, ci permetteranno di identificarli con discreta sicurezza; gli errori, come per la maggior parte delle specie in cui i sessi sono quasi simili, sono sempre possibili. Se poi abbiamo un buon binocolo e il tempo per prolungare l'osservazione, potremo determinarne con sicurezza il sesso quando vedremo gli animali orinare: il maschio compie questo atto stando quasi eretto, mentre la femmina si accuccia vistosamente con il posteriore. Inoltre nei maschi adulti è quasi sempre osservabile, da posizione favorevole, il "pinsel", o pennello; si tratta di pochi lunghi peli che scendono dalla zona del pene.

La stagione degli amori

La vita del camoscio è scandita dal succedersi delle stagioni, che regolano il suo ritmo biologico, le sue abitudini e i suoi comportamenti. La stagione più bella per osservarli è il tardo autunno. Da novembre a dicembre i maschi adulti, quelli che hanno raggiunto la maturità "sociale" per potersi conquistare un gruppo di femmine, raggiungono i territori dove abitualmente salgono a pascolare le femmine con i loro piccoli, e iniziano le "corse" e gli inseguimenti per la difesa del territorio dagli intrusi. E' il periodo degli amori. I maschi, nei loro fieri portamenti, scrollano continuamente il folto mantello scuro spruzzandosi i fianchi di orina, ed emanano forti esalazioni che eccitano ed attirano le femmine. Solo in questi mesi ci potrà capitare di osservare i maschi più belli, quelli che possono permettersi di costituirsi un grosso "harem" e difenderlo saldamente da tutti i giovani subadulti in cerca di avventure amorose, e dagli altri maschi più forti. La vita del maschio è infatti, per la maggior parte dell'anno, una vita solitaria, condotta di preferenza al di sotto della fascia a prateria alpina, dove non manca la vegetazione e dove se ne può stare tranquillo e indisturbato. Unica compagnia dei maschi più adulti è stata a volte, nelle altre stagioni, quella di un giovane maschio, solitamente dell'età di circa 3/4 anni, non ancora maturo socialmente, che fa loro da "scudiero", nobilitando, se così vogliamo dire, la loro vita solitaria. Questo tipo di compagnia tra i camosci più vecchi è osservabile anche tra le femmine che ormai non sono più in grado di avere prole; anche loro sono spesso in compagnia di una femmina più giovane, senza prole, o di una compagna più o meno della medesima età. L'estro delle femmine, fisiologicamente, dura solamente due o tre giorni, per cui si comprende tutto quell'affanno da parte dei maschi, ai quali spetta il compito di garantire al gruppo la discendenza.

Le nostre popolazioni

Se la popolazione sarà dotata di un buon gruppo di maschi riproduttori, dell'età tra i 4 e i 7 anni, in piena salute, la colonia prospererà, e sarà in grado di affrontare anche situazioni ambientali difficili e, al limite, anche con problemi sanitari, in quanto la buona salute dei giovani e la capacità che la natura dà loro per superare le avversità dipendono in gran parte, così come vuole la legge dell'ereditarietà, dai geni che i padri trasmettono. Fortunatamente nel territorio delle Orobie l'esercizio venatorio, tradizione secolare delle nostre genti, è impostato, ormai da parecchi anni, sulla caccia di "selezione", basata su rigorosi criteri di prelievo biologicamente validi, rispettosi delle norme che mirano a proteggere le classi di età riproduttive e i migliori soggetti. Grazie a questo modo di intendere la caccia, la popolazione di camosci delle nostre montagne è tra le migliori di tutto l'arco alpino, e il numero è sempre in aumento. Terminata la stagione degli amori la popolazione dei camosci torna alla sua vita normale, fatta di fatiche e di lotte per la sopravvivenza. L'inverno è la stagione peggiore per tutta la colonia. Le fasce di età più esposte al rischio di non arrivare a rivedere la primavera, per la crudezza del gelo e per la carenza di cibo, sono quelle dei giovani, specialmente i nati nell'anno, ma anche di quelli che si apprestano ad affrontare il secondo inverno e, paradossalmente, i maschi più forti che, quasi per una beffa della natura, pagheranno un alto prezzo per le loro corse e i loro amori, che li hanno portati a perdere anche fino al 30% del loro peso. L'alimentazione invernale è molto frugale; i camosci si devono accontentare delle poche erbe o arbusti che riescono a mettere allo scoperto grattando la coltre bianca, e dei germogli, ormai non più teneri, delle conifere. Le leggi della natura sono ferree e non fanno sconti a nessuno, nemmeno ai più forti.

Le nascite

Quando la primavera tornerà a ingentilire le nostre montagne, potremo vedere i primi gruppi di femmine con i loro piccoli tornare a raggiungere le alte praterie alpine, preferibilmente là dove i dirupi e le cenge rocciose si inframmezzano a balze erbose. L'inverno ha lasciato tutta la popolazione di camosci un po' debilitata, ma il pascolo tornerà a dare loro vigore e nuova forza. Prima che il sole giunga a riscaldare le vette, i camosci hanno già lasciato i loro ripari notturni tra la bassa vegetazione che segna il confine con le praterie, o nel bosco, e salgono al pascolo. I gruppi che potremo osservare in questo periodo sono formati da femmine con i loro piccoli dell'anno, quelli che ce l'hanno fatta a superare i rigori invernali, in compagnia dei giovani di 2/3 anni di ambo i sessi; essi sono solitamente guidati e sorvegliati da vecchie camozze, che fungono da sentinelle per segnalare eventuali pericoli, e che sono depositarie delle "segrete mappe" dei sentieri che, come una fitta e invisibile rete, collegano i territori dei pascoli migliori con i rifugi e i ripari in caso di necessità o di cattivo tempo. In questi luoghi solitari, appartati, dove nessuno le può disturbare, quando tra la fine di maggio e la prima metà di giugno si completa la gestazione e viene il tempo del parto, le femmine si allontanano per un breve periodo dalla colonia e cercano un luogo riparato e sicuro dove mettere alla luce i piccoli. Questi nascono già in grado di alzarsi sulle quattro zampe e fin dalle prime ore di vita i piccoli stanno vicinissimi alle loro madri, accompagnandole ovunque, imparando a riconoscerle e ricevendo da loro le prime affettuose attenzioni e le prime cure parentali. Per un certo tempo la madre preferisce restarsene sola con il suo piccolo, fin quando i contatti tra i due non avranno reso certa la capacità di riconoscersi a vicenda, dall'odore e dal richiamo.

A questo punto i nuovi nati , con le madri, si riuniscono alle colonie, imparano a stare con il gruppo e possono scorrazzare, saltando e giocando tutto il giorno con i loro coetanei. I piccoli sono meravigliosamente attrezzati dalla natura per affrontare un ambiente impervio e difficile, irto di pericoli; se ne stanno a gruppi anche numerosi, sempre sorvegliati dalle madri, e conducono una gioiosa vita gregaria. Non è raro comunque osservare coppie di madri e piccoli che continuano a rimanere soli nel bosco, senza fretta di voler socializzare con il gruppo.

Il mantello e il trofeo

Con la primavera anche il mantello del camoscio è cambiato. Nel tardo autunno esso aveva assunto una colorazione nera, lucida, con una densità maggiore per essere in grado di affrontare i freddi, e con un vistoso e lungo "Bart" che segna la linea dorsale nei maschi più vigorosi. In vista dell'estate il mantello si rinnova e assume una colorazione marroncina, con l'inconfondibile linea nera che dalla nuca arriva, in corrispondenza della linea dorsale, fino alla coda. La mascherina che gli abbellisce il viso è sempre nera e bianca, inconfondibile, e assume toni più grigi con l'età. Nella Rupicapra, che appartiene alla famiglia dei bovidi, le corna sono permanenti e sono costituite da involucri cornei inseriti su cavicchi ossei posti quasi verticalmente rispetto al piano frontale. Esse crescono in maniera significativa solamente nei primi anni di vita, mentre dai cinque anni in poi la crescita è millimetrica, per cui gli esemplari migliori sono quelli che, per condizioni genetiche personali e favoriti dalle situazioni ambientali e climatiche, superano in condizioni ottimali i primi anni di vita.

Un patrimonio da conoscere

La consistenza dei camosci nelle Orobie è piuttosto elevata, e si sta consolidando in popolazioni ben strutturate, un traguardo che si è potuto raggiungere per la sempre accurata attenzione di tutto il personale di sorveglianza, dei tecnici faunistici della Provincia, oltre che per l'aiuto insostituibile che hanno dato i cacciatori del nostro distretto alpino, con una gestione attenta basata sulla "conoscenza" del patrimonio da gestire e sorretta da un serio impegno per i censimenti e per il monitoraggio continuo del territorio. Un patrimonio naturale che è un fiore all'occhiello per tutta la Regione. L'unica minaccia per questi abitatori delle vette più alte, se escludiamo la possibilità dell'insorgere di pericolose epidemie, come la Cheratocongiuntivite e la Rogna sarcoptica, sempre incombenti nelle popolazioni numerose come le nostre se non si mantiene sotto controllo seriamente la popolazione con gli interventi selettivi indispensabili, è rappresentata dall'aquila, ormai stabilmente insediatasi nelle prealpi orobiche. Essa insidia i piccoli cercando di ghermirli e farli precipitare dai dirupi, ma non è cosa facile, in quanto le madri sono sempre all'erta e li difendono. Il successo di questi assalti è raggiunto assai raramente, in quanto le madri sorvegliano sempre attentamente i loro piccoli e li difendono anche dai suoi attacchi, ma queste situazioni fanno parte da sempre della vita di queste specie alpine, e rientrano a pieno titolo, con diritto di precedenza, nel sistema che regola la vita di queste popolazioni. Le nostre Orobie sono uno scrigno prezioso di bellezze naturali e di vita, e costituiscono un patrimonio veramente straordinario da scoprire e valorizzare sotto ogni aspetto, naturalistico e turistico. Per quanti frequentano la montagna diviene sempre più un dovere conoscere anche gli abitatori di questo mondo, per amarli come si amano i territori solitari e pieni di silenzi che li ospitano, nel rispetto delle tradizioni e delle scelte di quanti oggi, in primo piano il Comprensorio Alpino, sono chiamati a valorizzare e gestire per conservare.

 GALIZZI FLAVIO