Il capriolo, silenzioso custode dei segreti del bosco

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Non è certamente facile incontrarlo, o meglio, non è facile osservarlo né conoscerne le abitudini, anche se nelle nostre vallate si stima ne possano essere presenti, complessivamente, più di tremila.Il capriolo è un cervide tipico della regione euroasiatica, e si presenta in tre diverse sottospecie: quella tipica europea, presente da noi, il Capreolus capreolus capreolus, di cui alcuni studiosi considerano una sottospecie tipica italiana alcuni antichi nuclei delle regioni appenniniche del Lazio, del Gargano e della Calabria, denominata appunto Capreolus capreolus italicus, e altre due sottospecie: il capriolo siberiano, Capreolus capreolus pygargus, dalle dimensioni decisamente maggiori del nostro (fino a 60 Kg) e con un trofeo molto più sviluppato, e il capriolo cinese, Capreolus capreolus bedfordi, dalle dimensioni intermedie (fino a 40 Kg).
La specie presente nelle nostre vallate ha dimensioni che non superano i 75 cm. in altezza e il metro e 30 di lunghezza, per un peso vivo che può raggiungere, nei maschi adulti più forti e in piena salute, i 32 Kg., mentre nelle femmine non supera i 28 Kg.
Si è già detto che si tratta di un cervide, le cui caratteristiche più evidenti sono quelle di avere un “palco” (impropriamente dette corna) che viene sostituito ogni anno e che è tipico solamente dei maschi; un palco che si presenta, nell’animale adulto in buona salute, con tre punte: uno anteriore, detto oculare, uno centrale, detto vertice, e quello posteriore, detto stocco.

Come riconoscerlo

 
Incontrato in estate, quando il colore del mantello è rossastro/arancio, è inconfondibile: agile, veloce, non dà generalmente il tempo all’osservatore occasionale di valutarlo con sicurezza, ma quella macchia rossa che se ne fugge al riparo della vegetazione, spesso con balzi o emettendo un tipico “abbaio” di protesta, non può essere che lui.
Il “palco”, che nella tradizione venatoria è comunemente chiamato “trofeo”, è tipico, come detto, solamente dei maschi, per cui è un elemento sicuro per distinguere il sesso, almeno in questa stagione.
Quando infatti, verso fine ottobre per i più anziani, i maschi iniziano a perdere il trofeo, le cose si complicano. In questo periodo stanno però già cambiando il mantello (ad iniziare per primi sono in questo caso i più giovani); da rossastro diventa bruno/grigio, molto fitto e “gonfio”, e l’identificazione certa del sesso rimane solamente la macchia bianca perianale: essa presenta una forma a “fagiolo” nei maschi, mentre ha una forma a “cuore” nelle femmine, per la presenza di un evidente ciuffo di peli, anch’essi bianchi, che scende verso il basso (una sorta di falsa coda).
La colorazione del mantello estivo è generalmente uniforme, e ciò gli permette di mimetizzarsi egregiamente nella boscaglia, dove i chiaroscuri e le macchie di luce giocano un ruolo formidabile nello scomporne la figura; immobile e silenzioso, sicuro in un territorio di cui conosce ogni segreto e ogni angolo, si allontana per lo più di soppiatto.
Solamente se viene colto di sorpresa, come a volte può accadere, quando sta sonnecchiando e noi passiamo sul sentiero senza far rumore, egli si alza di scatto ed emette un inconfondibile e rauco abbaio, per dimostrare il suo disappunto e per segnalare un pericolo di cui, per la sorpresa, non sa ben identificarne la fonte.

 

La vita Privata
 
La vita privata del capriolo segue l’andamento delle stagioni  e il suo ciclo biologico – ormonale.
Tutto è calibrato per sfruttare al meglio le risorse alimentari, che scarseggiano in inverno, e per rispondere alle diverse necessità stagionali, legate alla sua vita sociale e alla riproduzione.
 La stagione più importante e delicata è quella del fine inverno – inizio primavera. In questo periodo la popolazione soffre delle maggiori perdite, che si registrano proprio quando la primavera ritarda per l’inclemenza del tempo, in particolare se questa segue un inverno molto rigido e con abbondanti nevicate.
 A difesa della scarsità di risorse alimentari a cui è andato incontro durante l’inverno, il capriolo ha beneficiato di una risorsa biologica che gli ha permesso, riducendo il metabolismo, di non avere bisogno, per qualche tempo, di assumere le normali quantità giornaliere di cibo.
Il suo stomaco, per un adattamento della specie, si è ridotto di volume, riducendone le funzioni e lasciando che il grasso accumulato a fine autunno compensasse questa carenza; tutto ciò ha ovviamente tempi contenuti e ritmati da un orologio biologico preciso: un ritardo meteorologico nell’arrivo della primavera può creare, nella popolazione di caprioli, perdite anche significative, per l’impossibilità di reperire sufficiente cibo proprio in questo delicato momento di “recupero” delle piene funzionalità digestive.
Il capriolo è un animale solitario e territoriale per gran parte dell’anno.
 All’inizio della primavera i maschi adulti sono i primi a “pulire” il palco e a scegliersi un territorio dove insediarsi; a volte sono accompagnati da giovani maschi, di cui tollerano la presenza fino all’inizio del periodo degli amori, che alle nostre altitudini comincia generalmente verso la metà di luglio.
Le femmine sono sempre in compagnia dei piccoli dell’anno prima, e spesso anche di un’altra femmina “sottile” (quasi sempre si tratta di una figlia di due anni prima che non ha ancora iniziato il ciclo riproduttivo). Questi piccoli gruppi familiari sono una prosecuzione minima dei raggruppamenti invernali, quando i caprioli si riuniscono in nuclei più numerosi, costituiti anche da più gruppi familiari a cui si erano aggregati anche maschi giovani e adulti.
Verso la fine di maggio o i primi di giugno avvengono generalmente le nascite. In questo periodo le femmine rompono il legame familiare con i piccoli dell’anno prima, che era rimasto stretto per tutto l’anno, e cercano un luogo riparato e tranquillo dove mettere al mondo i nuovi piccoli. La quasi totalità delle nascite è costituita da parti gemellari, salvo per le femmine primipare che mettono al mondo generalmente un solo piccolo.
Questa loro prolificità caratterizza l’alto tasso di incremento annuo della specie, che in linea teorica potrebbe essere quindi superiore al 100% del numero delle femmine presenti sul territorio. Ciò ovviamente non avviene mai, in quanto il tasso di mortalità dei piccoli, in montagna, è molto elevato, arrivando ad oltre il 50%.
 Anche se esistono dei problemi legati alle condizioni ambientali e meteorologiche non sempre favorevoli, che incidono a volte in modo significativo su questa percentuale, non dobbiamo sottovalutare la parte che svolgono i predatori naturali, come la volpe, la cui popolazione potrebbe trovare proprio nella disponibilità di queste risorse stagionali occasione per incrementare il suo successo riproduttivo.
Un discorso a parte merita la “predazione colpevole”, così almeno la chiamerei, dovuta alla sempre più significativa presenza, sulle nostre montagne e nei boschi, di “cani randagi”. Cani che comunque hanno dei padroni, o meglio dei cattivi padroni. L’istinto del cane ha origine lontane, legate alla caccia in gruppo tipica del loro predecessore, il lupo, e quando sono lasciati incustoditi e viene data loro la possibilità di scorrazzare per intere giornate senza il diretto controllo del padrone, questo istinto primordiale torna ad avere il sopravvento, e la loro maestria nel cacciare in coppia lascia poco scampo ai piccoli nati e ai giovani, inesperti e non ancora sufficientemente smaliziati.
 L’estate è il periodo degli amori. Essi sono concentrati generalmente da metà luglio a metà agosto, e interessano tutte le femmine, che proprio in questi mesi manifestano il loro estro, e i maschi più forti, quelli che hanno conquistato un territorio e hanno una posizione dominante, escludendo i giovani dell’anno, non ancora maturi socialmente.
A proposito degli amori, va rimarcato come l’estro della femmina duri circa 3/4 giorni, e sia generalmente lei a recarsi nel territorio di un maschio di rango elevato. In questo periodo non è difficile poterli osservare, almeno per chi si impegna ad adottare tutti gli stratagemmi di un accorto osservatore naturalistico e sappia dove poterli vedere senza recare loro disturbo.
I rituali dell’accoppiamento seguono schemi antichi, nel corso dei quali le femmine si fanno inseguire dai maschi in “giostre”  amorose, emettendo spesso tenui “fippii”, disegnando anelli sul terreno, o addirittura degli “otto”, e solo dopo lunghi inseguimenti si concedono. Le giostre, dopo l’accoppiamento, si interrompono bruscamente, per brevi periodi di riposo, ma riprendono poi nel corso della giornata, fino alla fine del periodo di estro della femmina, che lascerà il territorio del maschio per tornare alle cure dei piccoli che aveva temporaneamente abbandonati nelle vicinanze. Il territorio del maschio verrà quanto prima invaso da un’altra femmina in calore. 
Le femmine del capriolo, come altre specie di mammiferi, sono dotate della straordinaria capacità di “differire” lo sviluppo riproduttivo del feto fin dalle prime settimane dopo la fecondazione, rinviando, se così possiamo dire, la prosecuzione di questo processo di sviluppo fetale di 4 mesi e mezzo, fino a dicembre. Questo per far si che le nascite possano avvenire in primavera, quando le condizioni ambientali sono favorevoli e la disponibilità di cibo massima per tutto il periodo di svezzamento e di crescita dei piccoli. La gravidanza vera e propria, intesa come processo di sviluppo fetale, dura di fatto circa cinque mesi, anche se dall’accoppiamento alle nascite passano circa nove mesi.
Terminato il periodo degli amori anche il carattere scontroso e territoriale dei maschi si attenua, fino a scomparire del tutto a fine ottobre, quando iniziano a cadere i palchi. Per tutto l’inverno tornano ad essere animali sociali, anche se la loro socialità ha dimensioni e rapporti fondamentalmente di tipo parentale.
 
 
Come valutare la sua presenza
 
A cominciare dalla primavera, quando i maschi presentano già tutti un nuovo palco, il capriolo manifesta il suo carattere scontroso e possessivo del territorio, che marca in continuazione e tiene strettamente sotto controllo. Queste marcature si esprimono con segnali “olfattivi”, strettamente intraspecifici, come in seguito allo sfregamento su rami e arbusti delle ghiandole odorifere frontali, o con le grattate a terra, impregnate dagli odori delle ghiandole interdigitali delle zampe, oltre che attraverso segnali visivi, quelli che aiutano anche noi ad individuarne la presenza.
I segnali visivi più evidenti sono innanzitutto le “scortecciature” dei giovani arbusti, spesso molto energiche, che condannano sempre l’alberello ad una crescita stentata, quando addirittura non ne causano la morte, e le “raspate” a terra, anch’esse ben visibili e spesso caratterizzate proprio dall’asportazione della cotica erbosa.
Un buon osservatore potrebbe anche, durante e dopo il periodo degli amori, individuare le tracce delle “giostre amorose” che hanno caratterizzato gli inseguimenti delle coppie, anche se non è sempre facile; tali tracce le potremo trovare sia in zone aperte che nel fitto del bosco.
Altro segnale visivo di facile determinazione è rappresentato dalle “piazzole”, veri e propri giacigli, dove il capriolo, liberato in parte il terreno dalle foglie secche, passa le ore di riposo, a ruminare e a sonnecchiare.
Tra gli ungulati presenti nel nostro territorio, se escludiamo il cervo, la cui popolazione è ancora poco significativa e le cui abitudini sono quasi esclusivamente notturne, il capriolo è il più elusivo, il più diffidente e il più  difficile da osservare, in quanto ama starsene al riparo tra la vegetazione del bosco, uscendo allo scoperto, di norma, solamente nelle prime ore di luce e a tarda sera.
L’olfatto è il senso maggiormente sviluppato in questi cervidi, e permette loro di percepire la presenza di una persona anche oltre i 200 metri di distanza. Anche la vista è buona.
La popolazione di caprioli del nostro territorio è gestita, nella sua dinamica numerica e sotto il profilo della salute, dagli uffici provinciali “Caccia e pesca”, e più direttamente dal Comitato Tecnico di gestione del Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana, con sede a Piazza Brembana. 

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